La psicosi autoritaria del partito socialista
Continua, con la pubblicazione del quinto articolo, la polemica di Malatesta nei confronti del marxismo-leninismo e del suo “lider maximo” (Lenin) le cui tesi iperverticistiche e autoritarie – ormai imperanti a livello mondiale – sono adottate, a maggioranza risicata, dal Partito socialista italiano. La “resa” ideologica del PSI alle “tesi di Mosca” servirà solo a rimandare ma non ad impedire, l’anno successivo, la scissione di Livorno. La polemica, in questa nota, si fa aspra e, quasi, irridente dal momento che Malatesta considera Lenin nientemeno che un … “parvenus” della politica afflitto dalla smania del potere. -pasquale piergiovanni-
La psicosi autoritaria del partito socialista
“La direzione del Partito socialista, con sette voti contro cinque fa suoi i ventun punti della tesi di Mosca sulla costituzione dei partiti comunisti, per i quali punti si deve procedere ad una radicale epurazione, allontanando dal partito gli elementi riformisti ed opportunisti, secondo le forme ed i modi che verranno sottoposti alla discussione del prossimo Congresso.
L’ordine del giorno votato dagli altri cinque, pur accettando le tesi formulate a Mosca, “afferma la necessità di confermare il criterio politico di ogni Sezione della Terza internazionale comunista alle ragioni storiche ed alle contingenze concrete e di fatto del proprio paese sottoponendolo all’approvazione della stessa Internazionale, e riafferma pertanto la necessità di mantenere l’unità del partito socialista italiano sulla base e nei limiti giustamente imposti dal 21° punto secondo cui non potrà esser membro della Terza internazionale chi ne respinga i principi e non ne accetti consensualmente la disciplina;
intende che i casi individuali d’indisciplina siano più rigorosamente invigilati e sanzionati, dando alla direzione un potere più centralizzato che per l’innanzi. E passa all’ordine del giorno.”
Resta ora al Congresso che avrà luogo alla fine di dicembre, il decidere se vi sarà scissione ed epurazione in massa oppure semplice espulsione individuale degli elementi più compromessi e più compromettenti.
Noi ci rallegreremmo se finisse l’equivoco in cui si tormenta il partito socialista e ad un organismo mastodontico fatto di elementi che si contraddicono e si paralizzano a vicenda fossero sostituiti degli aggruppamenti omogenei sulle cui intenzioni si potesse essere illuminati e fidenti. Ma di qui a fine anno c’è ancora del tempo, ed una vecchia esperienza ci avverte che gl’interessi elettorali si sovrappongono sempre a tutte le ragioni dottrinali e avveniristiche. Staremo a vedere.
Intanto osserviamo che il partito socialista è sempre afflitto da quell’autoritarismo che fin dalle origini ne ha indebolita la compagine interna e compromesso l’indirizzo. L’autoritarismo è una malattia dello spirito fatta di superbia e di umiltà. E’ una pretesa all’infallibilità propria ed una fede nella fallibilità degli altri, che rende uno da una parte seguace pedissequo e ciecamente obbediente di chi è o crede superiore, e dall’altro insofferente di qualsiasi opposizione che venga da chi è o si crede inferiore. Ed il partito socialista, malgrado che ami dirsi “scientifico”, critico, ecc., ha sempre mostrato il bisogno di capi intellettuali nel cui verbo giurare e di dirigenti pratici a cui ubbidire.
Il capo supremo era Marx, e teoricamente resta sempre lui. In tutta la letteratura socialista ed in tutta la propaganda orale si ricorre a Marx ed al Manifesto dei comunisti del 1848 come ad un Profeta e ad un angelo; e più che sostenere le proprie ragioni con argomenti razionali, si discute se tale affermazione o tale tattica è conforme o no ai testi sacri. E’ quello che fanno i cattolici, quello che fanno i mazziniani, quello che fanno i giuristi, quello che fanno tutti i religiosi e tutti gli autoritari, che sono poi la stessa cosa nella loro conformazione spirituale.
Ma Marx è morto da lungo tempo e, come avviene sempre coi profeti che parlano in gergo, i suoi seguaci lo interpretano in modo diverso, e mal si potrebbe in nome di Marx giustificare una dottrina ed una tattica unitaria. Marx era stato messo in soffitta e minacciava di restarci.
E’ venuto Lenin – e siccome egli aveva per lui il prestigio della forza trionfante, tutti, intendo tutti o quasi quei socialisti che non sono passati al nemico, lo riconobbero come il più vero e maggiore interprete di Marx e si misero dietro di lui.
Ora si tratta di interpretare Lenin e le tesi ch’egli ha fatto votare al secondo congresso della “Terza Internazionale”. Ma Leni è ultra autoritario: egli “comanda”, e il modo ancor m’offende.
Avviene con Lenin quello che avviene con tutti i parvenus, a tutti i nuovi arrivati al potere o alla ricchezza.
Il “nuovo ricco” è sempre più esoso, più insopportabile del signore di nascita. Questi, essendo nato e vissuto nel privilegio, crede di aver diritto alla sua posizione, crede che il mondo non può andare diversamente e quindi sfrutta ed opprime in piena tranquillità di coscienza e con un sentimento di sicurezza che gli dà, salvo casi di speciale malvagità individuale, una certa dose di moderazione ed una certa affabilità di modi che, disgraziatamente, spesso lo rendono simpatico ai suoi sottoposti. Il nuovo ricco invece, il pidocchio rifatto, ha fretta di godere, ha bisogno di ostentare e pare che voglia soffocare col lusso e l’alterigia il rimorso della coscienza e la paura di ridiventare povero.
Lo stesso avviene in fatto di potere politico. I vecchi rivoluzionari arrivati al governo sono più tirannici di coloro che escono dalle classi governanti per tradizione; i liberali sono, alla, prova dei fatti, più reazionari e più villani dei conservatori.
In Russia non poteva essere diversamente.
Della gente che era stata perseguitata tutta la vita. Minacciata sempre dal gendarme e dal carceriere e spesso dal carnefice, tutto d’un tratto riesce ad afferrare il potere e tenere a propria disposizione gendarmi, carcerieri e carnefici! Che meraviglia se ne resta ubriacata, se subisce rapidamente la deformazione psichica professionale, e si mette a comandare, anche dove non arrivano gli sbirri?
Lenin s’immagina di poter trattare Turati come un caporale indisciplinato della sua guardia rossa.
E’ un errore.
Marx, colla sua mania autoritaria ed accentratrice, fu una delle cause della dissoluzione della Prima Internazionale, alla cui fondazione egli aveva potentemente contribuito.
Lenin ed i suoi seguaci che hanno fondato la Terza internazionale, l’ammazzeranno per la stessa mania autoritaria e accentratrice.
Solo che, come oggi i tempi camminano più rapidi, mentre Marx potette vedere l’opera sua in pieno sviluppo prima di causarne la morte, Lenin corre il pericolo di uccidere la Terza internazionale prima che realmente nasca.
A noi questo non dispiace, perché questa “Terza internazionale” che avrebbe potuto essere una leva potente di progresso, per le sue pretese dittariali e per avere conservato nel suo seno il germe di corruzione dell’azione parlamentare, minaccia già, se non venisse superata dalla rivoluzione in atto, di fare la fine ignominiosa della “Seconda internazionale”.
Errico Malatesta – Umanità Nova quotidiano anarchico – n. 187 del 3 ottobre 1920