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Il nostro 4 novembre

novembre 4, 2013

Le merci ed i titoli finanziari circolano liberamente e continuamente da un capo all’altro del mondo. Non è lo stesso per gli esseri umani. Le cose, in questo sistema economico, hanno più diritti delle persone. Persone disperate perché nel loro paese c’è una guerra, fatta con armi che noi abbiamo prodotto e venduto a caro prezzo ai loro governi. Disperate perché sono affamate da un sistema che ha spartito le risorse tra i governi, i nostri e i loro, e le ha lasciate nella miseria. Anche questa è guerra. Costrette, lasciano la loro terra e approdano sulle nostre coste. Ai sopravvissuti tocca il reato di clandestinità, ai morti le lacrime di plastica dei nostri e dei loro governi.
I nostri ed i loro governanti stipulano accordi commerciali, dichiarano le guerre e poi fanno la pace. Quello che conta, sempre, è fare buoni affari. Prima, però, quegli affari bisogna rivestirli di buone ragioni, e in questo momento non ce n’è una migliore dell’emergenza migranti. Motovedette, strutture di accoglienza? Macché! Militarizzazione del canale di Sicilia, con decine di miliardi impegnati per l’acquisto e la gestione di nuove navi da guerra, nuovi aerei di pattugliamento, elicotteri, droni e, ovviamente, i famigerati F-35. Va da sé, in questo contesto, che il MUOS di Niscemi non si tocca…
E se l’emergenza migranti si attenua, a garantire gli affari ci sono sempre le cosiddette missioni di pace. Un governo che si accanisce in ogni modo sulle spese, persino su quelle più essenziali, in un batter d’occhio rifinanzia per l’ennesima volta la sua presenza militare all’estero: 226 milioni di euro per soli tre mesi!
Per fugare ogni dubbio sul fatto che i nostri soldati siano buoni, bravi, efficienti e tanto, ma tanto, umani, il 4 novembre si festeggiano le forze armate, si aprono le caserme ai cittadini, cercando di alimentare così il loro amore per la Patria. La gerarchia, l’autoritarismo, la difesa del potere, la cieca e servile obbedienza agli ordini continuano a costituire l’intima essenza di ogni struttura militare, ma linguaggio e toni della rappresentazione sono cambiati. Al posto della morte, del sangue, del dolore e delle lacrime, delle trincee e dei bombardamenti ci suggeriscono un ambiente democratico e persino amichevole, il fascino della divisa, le tecnologie sofisticate, la guerra “pulita”, la precisione “chirurgica”, l’impersonalità dei droni. Le decine e decine di milioni di morti, di feriti, di dispersi, militari e civili delle due guerre mondiali, spogliate di ogni risvolto umano e ridotte a cifre, sono state relegate nei libri di storia, assieme a tanti altri numeri che nessuno ha voglia di leggere. Oggi morti e distruzioni le chiamano effetti collaterali.

coppola

L’idea di Patria, invece, continua ad insinuarsi pericolosamente nella logica delle relazioni umane e ad inquinarne pesantemente le espressioni. Patria non esprime semplicemente una terra abitata dai padri, ma il presunto discrimine tra chi è dentro e chi è fuori, chi è simile e chi è strano, estraneo, straniero, sospetto, nemico. D’accordo con Dürrenmatt che scrive “Quando lo Stato si prepara ad assassinare, si fa chiamare patria”, lo siamo altrettanto con don Milani quando dice: “… io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri”.
La retorica della Patria, e soprattutto quello che nasconde, non ci appartiene. Bandiere e gagliardetti, inni ed uniformi, gradi e stellette, parate e passi cadenzati sono l’opposto del nostro mestiere in questo nostro teatro. Mestiere che si esprime nella ricerca di forme di espressione capaci di declinare in ogni modo la libertà, valore di cui siamo certi e di cui andiamo fieri.
Il 4 novembre, celebrazione della Nazione, della Patria, delle Forze Armate, per noi significa solo lutto. Per i morti ammazzati, di qualunque colore, di qualunque terra, in guerra ed in pace, dal dominio e dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Nostra patria è il mondo intero!

Teatro Coppola – Catania

From → anarcosindalismo

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