Canosa di Puglia: 12 dicembre 1926
Grazie alla preziosa segnalazione di Franco Schirone emerge dall’oblìo una pagina, dimenticata, della storia antifascista in Puglia. Ovvero l’assassinio – per mano fascista – di Michele Speranza avvenuto a Canosa di Puglia la sera del 12 dicembre (ricorsi storici?) 1926.
Socialista “libertario” lo definisce Agostino Raimo – il militante anarchico canosino rimasto anch’egli ferito nell’agguato e autore di una memoria dattiloscritta dalla quale traggo questa nota rievocativa – dove l’aggettivo “libertario” attribuito a Michele Speranza presuppone il rispetto e la stima reciproca che – sia pur nella rivalità ideologica e pratica – contrassegnava il rapporto quotidiano tra i militanti delle due grandi “scuole” del socialismo italiano: quello legalitario e riformista del PSI e quello Anarchico.
Pur essendo già nato, il PCd’I di Gramsci e Bordiga era ancora un soggetto politico ininfluente nel panorama sociale meridionale anche se cominciava già ad esplicitare i primi effetti nefasti in termini di settarismo e pretese egemoniche insite nella concezione leninista del conflitto sociale.
Siamo, dunque, nel mese di settembre del 1926: il fascismo – conquistato il potere con la violenza, la complicità di larghi settori dell’apparato statale e repressivo e brogli elettorali ha superato anche lo “scoglio” suscitato dall’ondata di proteste popolari seguite all’omicidio Matteotti – ha appena emanato le leggi “fascistissime” che si concretizzeranno in migliaia di anni di carcere e di confino comminati dai tribunali speciali a danno di anarchici, socialisti e – non meglio specificati – “sovversivi” e antifascisti. Ai militanti superstiti – perseguitati, disoccupati, provocati, spiati, non restava che la via dell’esilio.
In questo clima ostile – Vito Malcangio – il segretario del fascio locale “progressista” offre all’ala meno intransigente del dissenso sociale (ovvero al PSI locale) una soluzione di compromesso: ovvero la guida dell’Ufficio di Collocamento. L’unico strumento attraverso il quale – mediante iscrizione obbligatoria al partito fascista – si poteva essere avviati al lavoro ed assicurare un futuro alla famiglia.
La scelta del PSI locale ricade su Michele Speranza, contadino e padre di 5 figli piccoli, che riscuote di indubbio prestigio nella piccola cittadina pugliese. Ma lo Speranza non è solo un Socialista è anche un libertario. Prima di dare il suo assenso consulta gli Anarchici che – a Canosa di Puglia – sono (e lo saranno anche nel secondo dopoguerra) una forza consistente: specie tra i braccianti.
La risposta – formulata da Michele Damiani – è univoca e unanime: “Non ti permettere di farci queste proposte e non aspettarti la nostra collaborazione; tu sei arbitro delle tue scelte … con i fascisti ce la vedremo noi”.
Michele Speranza tergiversa per, oltre, due mesi. La sera del 12 dicembre una squadraccia di fascisti armati di bastoni e rivoltelle aggredisce un gruppo di braccianti intenti a parlottare in piazza. Sono alla ricerca di Michele Damiani e Michele Speranza: non trovano il primo e si rifanno sul secondo esplodendo numerosi colpi. A terra – oltre allo Speranza morente – rimangono feriti gli anarchici Agostino Raimo e Angelico Francesco. Gli aggressori – riconosciuti e denunciati – furono condannati a pene di due e quindici anni di reclusione.
Il segretario fascista “progressista” fu rimosso dall’incarico mentre il maresciallo dei carabinieri che aveva condotto le indagini che aveva portato all’arresto e alla condanna dei fascisti aggressori fu trasferito.
A sostenere la famiglia – data la “liquefazione” del PSI locale – ci pensarono gli Anarchici, i fratelli della vittima e alcuni soggetti legati al PSI. Michele Damiani fu arrestato e confinato a Ventotene.
Non prima di aver formulato l’epitaffio in epigrafe che compare sulla tomba di Michele Speranza: il socialista libertario “adottato” dagli Anarchici.