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La Resistenza (rimossa) degli Anarchici a Milano

aprile 3, 2015

Per le edizioni Zero in Condotta è stato pubblicato ed è disponibile il libro di Mauro de Agostini e Franco Schirone: Resistenza a Milano (1943-45), Zero in Condotta, 360 pp.

Pubblichiamo la prefazione di Giorgio Sacchetti

La presenza complessiva degli anarchici nella Resistenza è già stata fatta oggetto di numerosi studi, alcuni di grande pregio, ormai a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. Tuttavia, trattandosi di un movimento di non facile approccio per chi non abbia un retroterra di conoscenza approfondito, si è rilevato spesso necessario, anzi indispensabile, partire dal locale (o magari dalle storie di vita). Sì, perché ad un movimento politico-culturale-sociale eterogeneo e decentrato corrispondono spesso fonti altrettanto decentrate e magari disperse. Ebbene queste pagine, oltre a rappresentare un indubbio elemento di conoscenza, costituiscono anche un prototipo per come si debba procedere nella ricerca storica di base. Senza questi lavori, pazienti e minuziosi, le grandi opere di “sintesi” non avrebbero più la materia prima per analisi e ricostruzioni di largo respiro.

25 aprile

Mauro De Agostini e Franco Schirone, studiosi di vaglia, ci propongono un’avvincente e documentata narrazione di un’esperienza resistenziale popolare ed “altra”, quella degli anarchici, in una città-chiave come Milano, crocevia dei destini della Nazione ma anche proscenio della duratura guerra civile europea. Lì dove lo scontro tra fascismo e antifascismo ha assunto, da sempre, i connotati della guerriglia sociale aperta il racconto di quelle vicende si fa decisivo. Le modalità e le costanti di un conflitto apertosi nel 1919-1922 ritornano dunque negli anni 1943-1945 come ricapitolazione, svolgimento finale e “recupero della memoria” (per usare le parole di Claudio Pavone) durante la Resistenza, sotto la cappa dell’occupazione tedesca. E si tratta di uno scontro epocale, “guerra dei trent’anni” tra opposte visioni del mondo, tra modelli di civiltà antitetici, il cui esito produrrà contraddizioni più o meno impreviste: come l’affermarsi di democrazie dai tratti autoritarie di antifascismi di marca totalitaria.

La seconda guerra mondiale nelle sue molteplici rappresentazioni raffigura una sorta di architrave della memoria europea, e pertanto delle identità, di tutte quelle componenti sociali, politiche, nazionali e culturali che vi furono coinvolte. Ciò vale a maggior ragione per un paese come l’Italia alle cui istituzioni spetta la peculiarità della nefasta primogenitura del fascismo, e il disonore di una turpe alleanza con il nazionalsocialismo hitleriano, dalla guerra d’Etiopia almeno fino all’8 settembre 1943. Per la generazione dei militanti libertari, reduci delle antiche battaglie, l’epilogo di un’esperienza traumatica vissuta in prima persona – guerra, persecuzioni, prigionia, esilio e lotta armata – non sarà mai l’ora zero per un nuovo spensierato inizio. Esso imporrà, piuttosto, il dovere della memoria oltreché della coerenza antitotalitaria. Le inaudite devastazioni fisiche e morali patite significarono, innanzitutto, una grande confutazione delle illusioni e delle finzioni ideologiche e politiche del Novecento, secolo destinato a proiettare perennemente le sue ombre lugubri. “Mai come allora – ha scritto Karl Dietrich Bracher (Zeit derIdeologien) – l’idea di progresso si era rivelata in tutta la sua ambivalenza: di fronte alla fede in un miglioramento morale e culturale inarrestabile e automatico dell’uomo, c’era l’esperienza di Auschwitz”. Né bastò più il Comunismo come “quintessenza dell’antifascismo”, giacché anche dopo il 1945 continuava ancora, nell’URSS, la disumanità dei campi di concentramento…

La Resistenza, quale fenomeno storico ormai inesorabilmente lontano nel tempo, fagocitata e depotenziata di tutta la sua carica sovversiva dalla retorica istituzionale, oppure attaccata in blocco dalla società dei consumi culturali veloci e dei talk show, dai nuovi fascismi (più che dal vecchio “revisionismo” del buon De Felice), ha man mano esaurito la sua funzione pedagogica e di appeal tra le giovani generazioni e non solo. Tuttavia anche lavori come questo propostoci da De Agostini e Schirone – peraltro estremamente ricchi dal punto di vista delle fonti utilizzate e ben organizzati sul piano del racconto – ci richiamano almeno un paio di riflessioni sulla metodologia di indagine da adottare, sulle necessarie letture storiche da effettuare sul lungo periodo. Tutte questioni che, allo stato, appaiono ancora irrisolte nel milieu storiografico. Occorrerebbe, in sostanza, passare davvero dalla attuale visione strettamente singolare e univoca della Resistenza (ma quale memoria condivisa!) ad una visione invece davvero plurale delle molteplici Resistenze. Occorrerebbe inoltre superare senza remore la cronologia ristretta del 1943-1945, discorso che ci pare debba valere anche per le vicende dell’anarchismo.
Dopo la fase di “internazionalizzazione” – che riguarda l’esperienza militante che matura fra le due guerre, epoca in cui il movimento si misura con i totalitarismi in ambito europeo – si delineerebbe così una periodizzazione inedita. Si tratterebbe (sull’onda di alcune suggestioni dello storico Giovanni De Luna) di prendere in considerazione tutto in blocco il decennio della crisi 1938-1948. Ed è proprio in questi anni, infatti, che precipitano eventi di portata epocale, tali da marcare tutto il secondo Novecento anche per gli anarchici. Ne citiamo solo i principali: gli esiti letali della sconfitta in Spagna, la IIa guerra mondiale come guerra ideologica antifascista, l’incardinamento dei tre partiti che per il mezzo secolo successivo domineranno lo scenario politico italiano, la conferma della statalizzazione dei sindacati, l’avvento della repubblica e di un sistema liberal-democratico, la guerra fredda con la giustapposizione della nuova coppia comunismo/anticomunismo alla vecchia coppia fascismo/antifascismo, l’Unione Sovietica come “faro” indiscutibile della sinistra…

Da rilevare anche che la partecipazione dei libertari italiani alla lotta armata antifascista marcherà indubbiamente la differenza fra i percorsi antropologico culturali successivi intrapresi dalle varie correnti dell’anarchismo internazionale. Così, se nell’area anglofona prevarranno i temi della rivoluzione nonviolenta e dell’anti-bellicismo, in quella sud-europea saranno invece gli stilemi classici dell’antifascismo di estrema sinistra ad imporsi, non ultimo il mito della “Resistenza tradita”.

Giorgio Sacchetti

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