Che cos’é l’AIT?
Ovvero: il #14N (censurato) a Bari
Se dovessimo dar credito all’informazione fornita dai media locali in merito allo #scioperosociale del #14N a Bari dovremmo prendere atto che l’USI-AIT – ovvero una delle sigle sindacali promotrici a livello nazionale e locale – risultava assente. Nessuna citazione … nemmeno per indicarla tra le sigle promotrici; nessun riscontro fotografico; nessuna citazione rivendicativa o dichiarazione pubblica di qualche suo esponente. La sezione italiana dell’Associazione Internazionale del Lavoratori (acrononimo in francese AIT) è, semplicemente, assente.
Nulla di nuovo a pensarci bene. Certo “giornalismo” quando non ha elementi sufficientemente validi per sostenere la, solita, tesi degli antagonisti – variamente declinati ma tutti indistintamente – “brutti, sporchi e cattivi” preferisce, semplicemente, ignorarli: sperando, così di farla franca ancora una volta e – contestualmente – di “gabbare” i lettori (che, acquistando in moneta sonante, il quotidiano in edicola contribuiscono a pagare lauti stipendi alle “grandi firme” lasciando le briciole ai “mestieranti”) fornendo loro una “patacca” informativa.
Poi …
Poi apri la versione cartacea dei quotidiani, guardi la foto che “correda” l’articolo che (dis)informa ed eccola lì – nitida ed in prima fila – la bandiera rossa e nera del Sindacato da censurare.
La Repubblica Bari – da bravo quotidiano “progressista” – la fa, se possibile, ancora più grossa. Non solo ignora totalmente lo striscione USI-AIT lungo 4 metri e largo 2 ma riesce – in ben 56 foto pubblicate sulla pagina web – a non vedere neppure le bandiere grazie al trucco – che qualsiasi studente di tecnica della comunicazione impara alla prima lezione – di “tagliare” l’angolo di immagine e inquadrando solo “frammenti” della manifestazione funzionali all’informazione che vuole veicolare. E’ sufficiente, però, che il fotografo (distratto o maligno?) allarghi l’inquadratura ed eccole che spuntano, beffarde, le stesse bandiere che con tanta cura censoria sono state bandite nelle 54 foto precedenti.
Cosa vuol dire AIT?
Se nei quotidiani che fanno informazione locale ci fosse anche un solo professionista seriamente interessato ad informare i lettori molto probabilmente si sarebbe posto la medesima domanda che in tanti – soprattutto giovani e giovanissimi – ci hanno rivolto prima, durante e dopo la manifestazione. L’ipotetico giornalista avrebbe, così, scoperto che AIT è l’acronimo francese di Associazione Internazionale dei Lavoratori che riprende i valori della mitica Prima Internazionale fondata dagli altrettanti mitici Marx e Bakunin e che ha avuto tra i suoi iniziali sostenitori italiani oltre ai, misconosciuti, pugliesi Carlo Cafiero ed Enrico Covelli illustri personaggi che compaiono sui libri di storia o ai quali si intitolano vie o piazze quali Giuseppe Mazzini o Andrea Costa.
Indagando più a fondo – il nostro giornalista immaginario – avrebbe scoperto che l’USI-AIT ha una storia ultracentenaria alle spalle essendo stata – sin dalla sua costituzione nel 1906 – una corrente interna alla CGdL dalla quale si scisse nel 1912. Scoprirebbe, ancora, che lo, storico, Segretario Generale della Camera del Lavoro Sindacale (USI) di Bari era – l’ancor più mitico, citatissimo e “venerato” – Giuseppe Di Vittorio.
Scoprirebbero, infine, che la storica – e temutissima – Camera del Lavoro Sindacale (USI) sita in via San Nicola a Bari vecchia fu attaccata e distrutta – la notte tra il 7 e l’8 agosto 1922 – dalle bande fasciste spalleggiate dal regio esercito e dalla regia marina fatta pervenire a Bari su ordine del Prefetto Oliviero.
Ritornando allo #scioperosociale l’ipotetico “giornalista che non c’è” – avrebbe scoperto, altresì, che, all’interno dello spezzone USI-AIT, erano rappresentate le istanze degli operatori precari del 118 di Bari le cui, continue, vessazioni sono state, più volte, denunciate pubblicamente dal dottor Francesco Papappicco presente nello spezzone USI-AIT ma senza “insegne” perché chi lavora seriamente in ambito sociale non ha bisogno di metterlo in mostra per garantirsi la “comparsata” mediatica.
Il “giornalista che non c’è” se si fosse preso la briga di informarsi avrebbe potuto comunicare ai lettori del suo giornale che molte altre – e tutte importanti – erano le vertenze rappresentate dalla piazza: dai licenziamenti discriminatori della Telcom di Ostuni alla difficilissima situazione vissuta dai lavoratori della Natuzzi divani anch’essi presenti in piazza.
Questo avrebbe dovuto fare un bravo giornalista che volesse, semplicemente, fare il suo mestiere di informare. Dal momento che la stampa locale appare, palesemente, inadeguata a farlo autonomamente provvederemo noi – gratuitamente – a colmare questa lacuna culturale, storica, sociale, politica ed etica.
Pasquale Piergiovanni